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“Finalmente! Ne sono proprio felice, perché ogni olio custodisce un patrimonio immenso di sapori e saperi… Lo sapevi, per esempio, che L’Italia ha un ricchissimo patrimonio olivicolo, costituito da oltre 500 cultivar diverse, pari al 40% di tutte quelle conosciute nel mondo, fatto che la colloca al primo posto per quanto riguarda la biodiversità e le consente di produrre una grande varietà di oli diversi?”.
“Questo significa che negli altri paesi produttori di olio non esiste un numero analogo di varietà?”.
“Esatto: la Spagna, che è di gran lunga il più grande produttore di olio al mondo (si stima che la sua produzione corrisponda a oltre il 40% della produzione mondiale), conosce solo 138 varietà, mentre la Grecia, il terzo produttore al mondo dopo l’Italia, ne ha solo 52. Tenendo conto del fatto che le cultivar impiegate per ottenere un olio extravergine di oliva ne influenzano in modo sostanziale il carattere - tanto sotto il profilo sensoriale che sotto quello chimico - è facile intuire quanto più vasta sia la ricchezza di cui può usufruire l’olivicoltura italiana”.
“Se non sbaglio, mi hai appena detto che la Spagna produce oltre il 40% dell’olio che viene consumato nel mondo, affermazione dalla quale deduco che esporti buona parte del suo prodotto. Anche l’Italia è un esportatore di olio?”.
“Sì certo e, a questo proposito, non è possibile non citare il paradosso della situazione italiana. L’Italia, infatti, produce in media circa 300.000 tonnellate di olio l’anno, mentre ne consuma, sempre in media, tra le 500.000 e le 600.000 tonnellate - il che equivale a dire che la produzione italiana di olio non riesce a coprire il fabbisogno interno. Se consideriamo il fatto che parte del nostro olio viene esportato verso i mercati dei paesi più ricchi - convinti, giustamente, della prelibatezza del prodotto italiano e disposti, quindi, a riconoscerne il valore anche in termini economici - ne consegue che gran parte del prodotto consumato in Italia proviene dall’estero (ne importiamo circa 550.000 tonnellate ogni anno), dove viene acquistato a prezzi inferiori per poi essere rivenduto sotto forma di miscele di oli comunitari e/o non comunitari.”
“Anche queste create ‘a tavolino’ per soddisfare i clienti abituati - come me - a un sapore standard?”.
“Noto con piacere che cominci a seguire il mio ragionamento… Gli oli extravergine ‘industriali’ hanno sempre lo stesso odore e lo stesso sapore, mentre gli oli di qualità - che siano blend o monovarietali - esprimono i profumi e gli aromi tipici della varietà cui appartengono le olive da cui sono ottenuti. In linea di massima, i produttori fanno del loro meglio per esaltare le caratteristiche organolettiche e gli attributi positivi dei loro oli EVO”.
“Che cosa si intende, esattamente, per caratteristiche organolettiche?”.
“Si tratta delle qualità di un alimento percepibili attraverso i nostri organi di senso. Nel caso dell’olio, i sensi che entrano principalmente in gioco sono l’olfatto e il gusto”.
“E la vista?”.
“Gli occhi possono godere del colore di un olio, soprattutto di un olio appena molito, ma il colore dell’olio è ininfluente nella valutazione della sua qualità, tanto che i bicchieri destinati all’assaggio sono di vetro colorato (blu cobalto) appunto per rendere invisibile il colore. L’analisi organolettica dell’olio si propone, infatti, di stabilire innanzitutto l’assenza di difetti (fatto che consente agli oli di rientrare nella categoria degli extravergine) e, poi, il livello di intensità di fruttato, amaro e piccante, i tre attributi che il COI - Consiglio Oleicolo Internazionale - fa coincidere con i pregi dell’olio EVO. Il naso dell’assaggiatore ha il compito di individuare il fruttato, cioè l’“insieme delle sensazioni olfattive, che dipendono dalla varietà delle olive, caratteristiche dell'olio ottenuto da frutti sani e freschi”, mentre la sua bocca dovrà esprimersi sull’intensità di amaro e piccante - due termini facilmente associabili alle sensazioni che indicano”.
“Quindi, il pizzicore che a volte si avverte in gola è un pregio, non un difetto dell’olio extravergine, giusto?”.
“Esatto. Così come la sensazione dell’amaro, che viene percepita dai recettori posti sulla base della lingua. Come ti dicevo prima, i principali responsabili delle sensazioni di amaro e piccante sono i polifenoli, la cui presenza dipende in larga parte - ma non solo - dalla varietà delle olive da cui viene estratto l’olio. Durante l’assaggio, l’intensità di percezione va annotata sulla scheda di profilo tracciando un segno su una riga non graduata. L’assaggiatore è, insomma, invitato ad annotare istintivamente la sua percezione, indicandola poi con precisione grazie al righello che gli viene fornito insieme alla scheda. Se la percezione è inferiore a 3 (su una scala da 0 a 10), il fruttato (ossia il profumo che ricorda l’oliva) si definirà leggero, se compresa fra 3 e 6 si definirà medio, se superiore a 6 intenso. Il fruttato sarà, inoltre, classificato come verde o maturo a seconda che le sensazioni olfattive ricordino il frutto verde o maturo. Anche gli altri due pregi dell’olio, l’amaro e il piccante, vengono definiti secondo la stessa gradazione, e l’olio verrà classificato come equilibrato se la differenza di percezione olfatto-gustativa tra i due attributi positivi e il fruttato non sarà superiore a 2 punti. In alcuni contesti, gli assaggiatori possono essere invitati a utilizzare descrittori più precisi che indichino i profumi e i sapori individuabili nel fruttato dell’olio, come le sensazioni erbacee, floreali, speziate e vegetali, e ti assicuro che, per certi oli, il vocabolario non si discosta poi molto da quello del vino”.
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