Oggi non scriverò di olio e di olive.
Scriverò di uno stato d’animo, di quello che cerco in campagna, al mare, in montagna, negli occhi dei miei cani, dei momenti belli, senza nome e senza tempo, che ho vissuto nella natura.
Giuditta è il nome con cui avevamo battezzato, qualche anno fa, una cernia dorata incontrata per qualche giorno di seguito durante le nostre immersioni alla Secchitella. Era piccola e spiritosa e, socievole, aspettava la nostra quotidiana incursione nel blu per venire a salutarci. La Secchitella ospita moltissime cernie di tutti i tipi e dimensioni: leggiadre cernie dorate, imbronciate cernie rosse, maestose cernie brune, tutte diverse e tutte incantevoli, ed è stato lì che mi sono innamorata di questo pesce fuori dal comune.
Qualche giorno fa, ho visto una cernia bruna in un acquario, vuoto, triste, bianco, nemmeno un’alga o uno scoglietto, e la mia mente si è immediatamente ritrovata sott’acqua.
Silenzio, il rumore delle bolle che scandiscono i movimenti, cernie imponenti davanti alle loro tane, cernie curiose che spiano i tuoi movimenti senza accennare a fuggire, cernie giocherellone che talvolta ti seguono.
Ho rivisto con la mente il movimento tipico e armonioso delle pinne pettorali che danzano leggiadre alle estremità del muso e addolciscono l’espressione un po’ corrucciata creata dalla grande bocca.
I miei occhi vedevano quel movimento ingabbiato da quattro pareti di vetro e, a quella visione, la mia mente si è ribellata: non si può rinchiudere in un acquario un animale così bello.
Fosse stata priva di vita, allineata sul banco insieme agli altri esemplari in vendita in pescheria, mi sarei rammaricata di vederla lì, disdegnando l’idea di portarla in tavola (io, ghiotta di pesce e di tutto quello che offre il mare, non mangio le cernie, per principio, e perdonatemi la contraddizione), ma vederla priva di libertà, prigioniera di quattro pareti di vetro, in quell’ambiente incolore, anziché nell’immenso mare, davanti alla sua tana, immersa in quel blu che mi ha rapito il cuore sin dalla prima volta che ho aperto gli occhi sott’acqua, mi ha provocato una sensazione di smarrimento e di sconforto. Istintivamente, ho pensato di correre a liberarla, ma andavo un po’ di fretta, quindi ho rimandato.
Il giorno dopo, la cernia abitava ancora i miei pensieri, così, non appena mi è stato possibile, sono andata in pescheria e l’ho trovata ancora lì, rinchiusa tra pareti trasparenti.
L’ho acquistata e, anziché portarla in tavola, sono corsa in riva al mare, trasportandola dentro a un sacchetto (mi avevano assicurato che sarebbe sopravvissuta anche un’ora fuori dall’acqua).
Mi ero già detta che si trattava certamente di un esemplare femmina, visto che pesava circa 700 grammi e che per i primi 10-12 anni tutte le cernie sono femmine; poi, raggiunti i 7-8 chili, cambiano sesso e diventano maschi - pensate che prodigio. 700 grammi… un pesce che può raggiungere il metro e mezzo di lunghezza e pesare fino a 60-70 chili…
Fremevo dalla voglia di buttarla in acqua, ma non sapevo bene come maneggiarla. Lei si fingeva morta, immobile nel suo sudario.
Mi sono inginocchiata e ho avvicinato il sacchetto al pelo dell’acqua. In una frazione di secondo, l’ho vista sgusciare fuori e sparire sotto la superficie del mare, pronta a ricominciare il suo viaggio.
E mi sono sentita più leggera, sollevata.
Probabilmente, nella mente di chi legge, l’unica associazione possibile tra una cernia e un’oliva riguarda una qualche ricetta che le veda accomunate; di certo, un filo d’olio è indispensabile per cucinare o servire in tavola qualsiasi tipo di pesce. In realtà, cernie, olive, cani e caprioli, chiome di ulivi, vette imponenti e mari di tutte le tonalità di blu sono elementi di quello straordinario paesaggio che ci circonda, e il cui spettacolo non finisce di stupirmi.
L’incanto della natura mi spinge a coltivare gli ulivi, così come mi attira sui sentieri montani e tra le onde del mare.
Non mi stanco di indossare la muta e di spingermi nel ventre umido del mare, o di indossare le pedule e inerpicarmi sui sentieri di montagna, felice e orgogliosa di poter portare in tavola un olio che è frutto di piante meravigliose, ma anche un po’ dei miei sforzi e del mio lavoro.
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