Tra tutti i condimenti di cui disponiamo, l’olio extravergine di oliva è oggi l’indiscusso protagonista a tavola e in cucina, poiché esprime una complessità sensoriale che ad altri grassi difetta. Anche gli oli di semi più insoliti (come quelli di zucca, pistacchio o nocciola), estratti a freddo per spremitura e non mediante il ricorso a solventi chimici - come succede nel caso dei generici oli da seme più conosciuti e più presenti sul mercato - non possono competere, per ricchezza percettiva, con gli oli ottenuti dalle olive. La profusione di profumi e sapori, d’altro canto, è stata finora d’intralcio al suo giusto apprezzamento in cucina, tanto da parte dei cuochi che delle massaie, inclini a ricorrere a generici oli d’oliva, a extravergini di scarsa qualità o a oli di semi, abbondantemente utilizzati, specie in cottura, proprio in virtù della loro assenza di odori. Con il diffondersi della cultura dell’olio extravergine di oliva, però, la scelta di grassi inodori e insapori sta rivelando la sua fallacia, sia per mancanza di complessità espressiva, sia per la crescente attenzione nei confronti di una dieta sana ed equilibrata dal punto di vista nutrizionale.
Come accade nel caso dei vini, ogni olio extravergine di oliva ha una sua personalità, che si esprime mediante l’intensità del fruttato e delle altre caratteristiche positive, cioè l’amaro e il piccante, oltre che in virtù delle note tipiche legate alle diverse varietà di olive. E’, dunque, fondamentale scegliere l’olio giusto in base a ciò che ci si prefigge di ottenere in cucina: l’intento è quello di impiegare l’extravergine di oliva in base al suo profilo sensoriale, in modo da valorizzare sia le proprietà che lo contraddistinguono, sia i piatti che si desidera ottenere.
Occorre, innanzitutto, precisare che gli oli extravergine di oliva non andrebbero confinati al solo impiego a crudo: sfatando l’antico pregiudizio secondo cui coprono il sapore degli altri cibi, è sufficiente abbinarli in modo adeguato agli alimenti cui li si accosta. Se utilizzato in cottura, un extravergine amaro e piccante smorza, talvolta anche in modo netto, le sue note espressive. In una soluzione liquida, per esempio, l’amaro dell’olio tende a svanire perché i fenoli, responsabili delle note amare, si scompongono, a seguito di una reazione di idrolisi, in molecole più semplici che attenuano questa caratteristica. L’effetto è ancor più netto se l’olio agisce in una soluzione non solo liquida ma anche acida, come nel caso del sugo di pomodoro, che meglio di altri alimenti attutisce le note amare senza far perdere all’olio i suoi aromi.
Particolare è il caso della maionese, dal momento che un olio di complessità sensoriale molto pronunciata renderebbe la salsa sbilanciata e “sbagliata”, esempio paradigmatico del fatto che, in linea di massima, bisognerebbe evitare di abbinare alimenti delicati a oli particolarmente strutturati. Fanno eccezione certi latticini dal gusto lieve, come la mozzarella, che si abbinano alla perfezione con extravergine di oliva dalle note intense, alchimia scientificamente spiegata da uno studio olandese giunto alla conclusione che una proteina presente nei prodotti lattiero-caseari, il caseinato di sodio, riduce sensibilmente (fino al 60%) le note amare di certi extravergini. Al contrario, nel caso di una frittura di carciofi, è necessario ricorrere a un olio dal fruttato intenso, che esalti il sapore complesso di questo ortaggio, i cui profumi, peraltro, si avvertono spesso in oli dalla struttura complessa come, per esempio, nella Nocellara del Belice.
A conclusione di questa breve introduzione a un argomento che mi piacerebbe continuare ad approfondire su questo blog, mi sembra opportuno sottolineare il fatto che, pur ammettendo l’impossibilità di proporre un accostamento olio-cibo da ritenersi inconfutabile è, tuttavia, possibile fornire indicazioni orientative in base al profilo sensoriale degli oli.
(Continua…)
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