Anche quest’anno Olioofficina Festival si è rivelata un’esperienza interessante. Nelle parole di Francesco Caricato, ideatore e animatore di questa manifestazione, si tratta di “un progetto culturale che punta all’affermazione di una solida cultura dell’olio, nonché dell’aceto e di ogni altro condimento, oltre alla valorizzazione di una sana e corretta dieta alimentare intesa quale presidio di medicina preventiva e fonte di benessere”. Il suo programma si rivolge tanto agli addetti ai lavori quanto a tutti coloro i quali siano interessati ad avvicinarsi al mondo dell’olio (ma anche delle olive e dell’aceto).
Il tema dell’VIII edizione era “Nostra signora pubblicità”, in quanto la manifestazione intendeva evidenziare la difficoltà di pubblicizzare un prodotto come l’olio. Qual è, per esempio, il messaggio da trasmettere ai consumatori per spingerli ad acquistare un olio di oliva anziché un altro? Quante persone persone sono in grado di apprezzare le qualità organolettiche di un buon olio extravergine di oliva? Quanti sono interessati ad acquistare un prodotto italiano? E quanti sono a conoscenza delle virtù salutistiche di certi oli extravergine di oliva?
Le restrizioni alle diciture che è possibile indicare in etichetta non aiutano di certo. All’infuori degli oli DOP e IGP, per esempio, non è possibile indicare la provenienza di un olio. Certo, la si può desumere dall’indirizzo del produttore e dell’imbottigliatore, ma non tutti lo sanno. Si può e si deve scrivere che si tratta di un prodotto italiano, ma forse non tutti si curano di fare la distinzione tra un olio italiano e una miscela di oli comunitari o del bacino del Mediterraneo, anche se, probabilmente, questa consapevolezza va diffondendosi sempre di più, insieme alla certezza che un buon olio di oliva extravergine italiano non può costare 2 o 3 euro al litro.
Tornando alla difficoltà di pubblicizzare l’olio extravergine di oliva, Gabriella Stansfield, presidente dell’Associazione Italiana Donne dell’Olio, si è chiesta a cosa serva l’alto valore simbolico dell’olio se a beneficiarne non è il comparto oleario. Secondo la signora Stansfield, in Italia si presume di sapere tutto sull’olio ma, in realtà, il valore intrinseco di olio e olive viene impiegato per scopi che nulla hanno a che fare col cibo o con le qualità che interessano al settore. L’ulivo, per esempio, è presente nella simbologia e nei miti fin dalla preistoria; se ne parla già nel libro della Genesi, e viene citato circa 70 volte in tutta la Bibbia. Lo stesso nome di Gesù, Christos, significa “unto”. Nei poemi omerici era simbolo di pace e di vita, e nell’antica Grecia era considerato una pianta sacra, tanto che se si sorprendeva qualcuno a danneggiarlo lo si puniva con l’esilio. E, nel corso della storia e dei secoli, tale ruolo non è mai venuto meno, tanto che l’ulivo è stato celebrato in innumerevoli dipinti e poesie, ed è perfino diventato il simbolo di un partito politico. L’oliva, dal canto suo, è diventata emblematica di un colore e di una forma, e innumerevoli sono i modi di dire in cui olio e ulivi assumono valore metaforico: “porgere un ramoscello d’ulivo”, “a macchia d’olio”, “olio di gomito”, “siamo fritti” e così via.
Insomma, come si fa a pubblicizzare un prodotto così antico eppure rivoluzionario? Devo dire di aver trovato molto divertente e accattivante la campagna pubblicitaria per la valorizzazione dell’olio ideata dagli allievi dell’Accademia della Comunicazione di Milano sotto la guida di Antonio Mele.
Oltre agli incontri e ai dibattiti, Olioofficina è fatta che di sedute di assaggio, degustazioni guidate, scuole di cucina, presentazioni di libri, mostre d’arte intorno al mondo dell’olio e molto altro, tutte iniziative che si dipanano nella bella cornice del Palazzo delle Stelline a Milano.
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